Caro direttore,
fin dall’inizio della sua detenzione, La Repubblica ha meritoriamente seguito il caso di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale arbitrariamente arrestato in Iran, raccontando lo strazio della famiglia e le preoccupazioni di colleghi e scienziati.
Il dossier a cura di Bonini e Foschini sul “muro di sabbia” che circonda chi cerca di far luce sull’assassinio di Giulio Regeni, ha ulteriormente richiamato l’opinione pubblica sull’orrore della morte di un ricercatore incolpevole vittima della faida di apparati di sicurezza di uno stato alieno al rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Come ha scritto la Senatrice Elena Cattaneo sulle vostre pagine, la differenza tra Regeni e Ahmadreza Djalali è che della sorte del secondo siamo informati mentre è ancora in vita – sappiamo che da ormai un anno è in carcere in Iran senza che sia stata formalizzata alcuna accusa precisa, sappiamo che è “ostaggio” di quel Paese soltanto per aver risposto ad un invito dell’università di Teheran.
Spinto, come Giulio, dalla volontà di conoscenza e dall’impegno accademico, Djalali era partito dalla Svezia per condividere con i colleghi ricercatori gli avanzamenti della medicina dei disastri, in uno dei paesi che più ne ha bisogno in considerazione delle sue caratteristiche geofisiche.
L’Italia, dove Djalali ha vissuto e dove s’è formato come medico e ricercatore, sarà protagonista il prossimo 19 aprile della prima edizione dell’Iran-Italy Science, Technology and Innovation Forum che prevede incontri bilaterali a Teheran con il fine di “promuovere le eccellenze” in ambito scientifico e tecnologico dei due Paesi rafforzando il dialogo bilaterale e istituzionale. Della delegazione delle autorità italiane faranno parte la Ministra Valeria Fedeli, e il Presidente del CNR Massimo Inguscio.
L’Iran ha ratificato il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali nel 1975, tre anni prima dell’Italia, riconosce quindi il diritto alla libertà di ricerca scientifica, alla condivisione delle idee, alla promozione della cultura e alla possibilità, per i cittadini del proprio paese, di poter beneficiare delle più recenti scoperte della scienza. La piena applicazione del Patto costituisce il pilastro della cooperazione scientifica tra stati e assieme all’habeas corpus rappresenta un punto fermo e irrinunciabile della nostra civiltà giuridica.
Ci appelliamo al Governo affinché si colga l’occasione della firma di accordi bilaterali tra i due stati per affrontare la “vicenda Djalali”. La liberazione, o quantomeno un’azione in chiave umanitaria che porti al riconoscimento delle garanzie giurisdizionali internazionalmente riconosciute per Djalali, ci sembra il minimo che si possa chiedere a un Paese con cui si intende rafforzare i rapporti per il rispetto della libertà di ricerca scientifica e la promozione dello statuto degli accademici e scienziati quali “caschi blu della conoscenza”.
Filomena Gallo – Segretario Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica
Antonio Stango – Presidente LIDU Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo
Luca Ragazzoni – Portavoce Campagna #SaveAhmad