I GRANDI BRAND INTERNAZIONALI CEDONO ALLE MINACCE DELLA CINA: SEMPRE PIÙ URGENTE UNA REGOLAMENTAZIONE

Roma, 26 marzo 2021

Continua la ritorsione del governo cinese contro la presa di posizione di molti Paesi occidentali sul lavoro forzato a cui sono sottoposti circa mezzo milione di uiguri, tra campi di cotone e fabbriche, ma soprattutto contro le sanzioni coordinate UE, USA, Canada. Dopo aver annunciato, ieri, altre contro-sanzioni, questa volta verso enti e individui britannici (nove in tutto), l’obiettivo è ora colpire le aziende.

Le minacce della Cina verso le aziende consistono soprattutto in aggressive campagne di boicottaggio, come quello contro H&M, che ha dichiarato ufficialmente il suo sostegno in favore dei diritti degli uiguri, consapevole che per molti colossi aziendali le vendite in Cina rappresentano una gran parte del loro fatturato.

Infatti, se l’azienda di lusso tedesca Hugo Boss ha già riferito alla clientela cinese che continuerà ad approvvigionarsi dallo Xinjiang, mesi dopo aver comunicato a giornali americani di non avere niente a che fare con quelle forniture, la Inditex, società madre di ZARA, si è invece tutelata rimuovendo la sua policy contro il lavoro forzato dal proprio sito web.

Indubbiamente, questi gravissimi comportamenti di alcune aziende incoraggiano il governo cinese non solo a perpetrare gli abusi sui diritti umani, ma anche ad usare la minaccia come risposta alle nostre richieste di garanzie sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali in catene di produzioni in cui ormai siamo tutti convolti.

Lasciare la scelta all’azienda non basta, afferma Eleonora Mongelli, vicepresidente della FIDU e autrice di Made in Slavery, un podcast sulla repressione degli uiguri nello Xinjiang perpetrata con la complicità dell’industria globale: “È urgente e necessario regolamentare la responsabilità delle imprese in materia di diritti umani quando operano all’estero, altrimenti saranno sempre di più le aziende europee che investiranno in Cina, macchiandosi di questi gravi crimini”.